Bullismo e Cyberbullismo
Bullismo
Gli studi sul bullismo in molti paesi europei hanno una tradizione trentennale, in particolare
in paesi scandinavi, dove già dal 1973 il norvegese Dan Olweus si è occupato della tematica
del bullismo e ha iniziato ad investigare natura e caratteristiche. Olweus in seguito al suicidio
di due ragazzi che non sopportavano più le continue angherie inferte loro da alcuni compagni,
ha definito il bullismo come segue: “uno studente è oggetto di bullismo, ovvero è prevaricato
o vittimizzato, quando viene esposto, ripetutamente nel corso del tempo, alle azioni offensive
messe in atto da parte di uno o più compagni”, di seguito due casi riportati da Olweus:
“Johnny, un ragazzo tranquillo di tredici anni, era diventato una specie di ‘gioco
umano’ per alcuni suoi compagni di classe. Questi lo tormentavano, gli rubavano i
soldi, lo costringevano ad ingoiare erbacce e a bere latte misto a detersivo, lo
picchiavano nel bagno, gli legavano delle stringhe intorno al collo e lo portavano in
giro come un cagnolino. Quando i torturatori vennero interrogati sulle loro prepotenze,
affermarono che perseguitavano la vittima perché la cosa, dissero testualmente, ‘era
divertente’. Philip si suicidò dopo essere stato sistematicamente preso in giro e
umiliato da tre compagni di classe. Gli erano stati rubati gli appunti il primo giorno
degli esami, che fu costretto a sostenere ugualmente, con esito negativo. Timoroso di
raccontare tutto ai sui genitori, Philip scelse al morte. Rincasò da scuola e si appese
con una fune alla porta della sua camera da letto”.
Smith e Sharp invece definiscono specificamente il bullismo in questi termini:
“Un tipo di reazione che mira deliberatamente a fare del male o a danneggiare; spesso
è persistente, talvolta dura per settimane, mesi e persino anni, ed è difficile difendersi
per coloro che ne sono vittime. Alla base della maggior parte dei comportamenti
sopraffattori c’è un abuso di potere e un desiderio di intimidire e dominare”.
La stampa ogni giorno riporta casi di prevaricazioni, soprusi e prepotenze commessi da un
ragazzo, o molto spesso da un gruppo di ragazzi, nei confronti di un ragazzo di classe, di
scuola di quartiere, più o meno della stessa età.
Il bullismo (dall’inglese bullying che può essere tradotto con tiranneggiare, padroneggiare,
intimidire) può essere definito come un’azione che mira deliberatamente a fare del male e/o
danneggiare un altro individuo reiterate volte nel tempo. Il bullo, si tratti di un singolo
individuo oppure di un gruppo, desidera sopraffare una persona per sentirsi più forte, più
importante, per contare di più.
Il bullizzato, o vittima, è un bambino/ragazzo che subisce delle prepotenze: colpi, pugni, calci,
minacce, l’essere rinchiuso in una stanza ricevere bigliettini con offese e parolacce, subito
allontanamento e isolamento. Questi fatti capitano spesso nelle scuole e chi subisce non riesce
a difendersi. Gli episodi di bullismo sono presenti già a partire dalla scuola primaria fino alla
scuola secondaria di primo grado con modalità dirette di tipo fisco o verbale. Con il passaggio
alla secondaria di secondo grado si assiste ad una diminuzione quantitativa del bullismo, che
però si accompagna ad un aggravamento qualitativo degli atti di bullismo, con episodi
gravissimi veri e proprie anticamere per comportamenti delinquenziali.
È necessario, prima di procedere all’analisi del fenomeno di bullismo, distinguere ciò che è
veramente bullismo da altri tipi di comportamenti devianti, con i quali viene spesso confuso.
Anzitutto il bullismo si attua solo a scuola o nei contesti ad esso afferenti, inoltre il bullismo
implica la presenza di ruoli indispensabili quali il bullo, la vittima, i sostenitori del bullo, i
sostenitori passivi della vittima, cosa che in comportamenti quali la schermaglia, gli atti di
vandalismo, le aggressioni sporadiche, gli atti delinquenziali non sono richiesti.
Una prima categoria di comportamenti non classificabili come bullismo è quella degli atti
particolarmente gravi, che più si avvicinano ad un vero e proprio reato. Attaccare un coetaneo
con coltellini o altri oggetti pericolosi, fare minacce pesanti, procurare ferite fisiche gravi,
commettere furti di oggetti molto costosi, compiere molestie o abusi sessuali sono condotte
che rientrano nella categoria dei comportamenti antisociali e devianti e non sono in alcun
modo definibili come “bullismo”. Ugualmente i comportamenti “quasi aggressivi” che spesso
si verificano tra coetanei, non rappresentano forme di bullismo. Quindi non corrispondono ad
atti di bullismo, ad esempio, i “giochi turbolenti o lotta giocosa” (rough and tumble) compiuti
tra adolescenti, i quali si cimentano in giochi di lotta non finalizzati ad infliggere sofferenza,
ma appunto di natura ludica, utili inoltre all’acquisizione di tecniche risolutive dei problemi,
all’alternanza dei turni e delle norme che regolano i comportamenti di gioco e le relazioni
sociali. Inoltre, le attività di rough and tumble si differenziano dalle aggressioni in base al
tipo di espressione facciale e/o corporea che i soggetti manifestano. Ad esempio, il tono della
voce, il viso rilassato, le risate sia da parte dei vincitori che degli sconfitti sono chiare
testimonianze della natura ludica dell’interazione, i partecipanti al gioco di lotta sono disposti
a scambiare i ruoli in modo volontario.
Il bullismo presenta alcune caratteristiche distintive:
Asimmetria di potere: riguarda il disequilibrio tra le parti, ovvero la relazione
bullo/vittima è basata su un’asimmetria e un’ineguaglianza di forza e potere (tipo
fisico, psicologico o sociale), cosicché il bullo agisce e la vittima non è in grado di
difendersi.
Intenzionalità: il comportamento in oggetto è volto a creare un danno alla vittima. Il
bullo mette in atto intenzionalmente dei comportamenti aggressivi allo scopo di
causare danno, offesa e disagio alla vittima.
Modalità: i modi in cui il bullo mette in atto i suoi comportamenti.
Sistematicità: il fenomeno ha caratteristiche di ripetitività e perseveranza nel tempo.
Quindi nel bullismo deve esserci necessariamente una relazione asimmetrica, perché se il
litigio o la discussione avviene tra due studenti che hanno la stessa forza fisica e psicologica
non si può parlare di bullismo. Altro fattore identificativo dell’atteggiamento da bullo è la
persistenza nel tempo dei comportamenti dove i ruoli sono fissi e non intercambiabili. Quindi,
perché si possa parlare di bullismo, occorre riferirsi a casi in cui la violenza verbale o fisica
sia ripetuta nel tempo e che vi sia uno squilibrio tra prevaricatore e vittima.
È possibile distinguere diversi tipi di bullismo:
Diretto: si articola in prepotenze fisiche e/o verbali. Parte dal prevaricatore e si rivolge
direttamente alla vittima che subisce gli attacchi fisici e/o verbali.
Indiretto: la vittima è intrappolata in una serie di dicerie sul suo conto e/o
atteggiamenti di esclusione nei suoi confronti che la condannano all’isolamento.
Questa seconda forma è quella agita più psicologicamente, di preferenza dalle
femmine, mentre i maschi si orientano prevalentemente verso l’attività diretta.
Cyberbullismo: è il termine che indica atti di bullismo compiuti utilizzando mezzi
elettronici come e-mail, messaggeria istantanea, blog, telefonini cellullari e siti web.
Gli adolescenti di oggi abitano altri luoghi, oltre la scuola, il gruppo di amici e lo spazio
del gioco, mondi virtuali che sono resi sempre più affascinanti dal progredire della
tecnologia. “sono connesso per questo esisto” questo sembra essere il motto che
caratterizza la generazione dei giovani di oggi, che grazie ad Internet, ai nuovi cellulari e
agli smartphone è sempre e costantemente e illimitatamente collegata. Internet diventa
così una importante agenzia di socializzazione ed uno spazio in cui cercare informazioni,
discutere, prendere posizioni rispetto a questioni di interesse mondiale e studiare. Questa
meravigliosa tecnologia oltre ad essere utile per il miglioramento delle pratiche
quotidiane, evidenzia rischi implicati nel loro utilizzo distorto e improprio fatto per
offendere persone deboli e indifese, arrecare danno alla loro reputazione, proprio grazie
all’anonimato e alla rapidità e facilità con cui le prevaricazioni possono diffondersi a
livello planetario. A questo riguardo Smith ha coniato il termine Cyberbullying cioè
bullismo elettronico per definire un atto aggressivo, intenzionale, condotto da un individuo
o un gruppo di individui usando varie forme di contatto elettronico, ripetuto nel tempo
contro una vittima. Nel bullismo elettronico rispetto al bullismo tradizionale, che si
realizza principalmente nelle ore scolastiche, le aggressioni continuano anche a casa o nei
week-end. Questo è un notevole fattore di sofferenza per la vittima, che si sente oppressa
anche tra le pareti domestiche, l’unico posto in cui, fino all’avvento di questa nuova forma
di prevaricazione, la vittima poteva trovare riparo sicuro. Inoltre, nel caso di video
offensivi su You tube, la dimensione temporale dell’offesa si dilata pressoché all’infinito,
poiché il video rimane disponibile agli spettatori per un lungo periodo di tempo. A tal
proposito i meccanismi di disimpegno morale sembrano venire incentivati
dall’impossibilità di percepire le reazioni del ricevente, innescando uno scollamento tra il
gesto compiuto e il suo significato non consentendo l’assunzione di responsabilità tra
causa ed effetto. La de-personalizzazione, mancanza di contatto oculare e tono della voce,
implicita nell’uso delle nuove tecnologie associata alle distanze virtuali affievoliscono o
eleminano del tutto il vissuto di empatia nelle relazioni.
Conseguenze del Cyberbullying
Ragazzo vittima di Cyberbullying:
o Smette di usare il computer inaspettatamente
o All’apparire di un messaggio è nervoso ed irrequieto
o Dopo aver usato il computer appare depresso o frustrato o arrabbiato
o Diventa riservato con i membri della famiglia
Bullo
o All’arrivare di un adulto spegne immediatamente il computer
o Usa il computer di notte
o Si mostra eccessivamente nervoso se non può usare il computer
o Non condivide informazioni riguardanti le attività svolte sul suo computer
I contesti in cui gli episodi di bullismo avvengono con maggior frequenza sono gli ambienti
scolastici: le aule, i corridoi, il cortile, i bagni e in genere i luoghi isolati o poco sorvegliati,
come per esempio gli spogliatoi della palestra o i laboratori. Generalmente i bulli e le vittime
fanno parte della stessa classe, per cui accade frequentemente che questa diventi il luogo
privilegiato in cui si manifestano le prevaricazioni. Atti di bullismo, però, possono essere
compiuti anche durante il tragitto casa-scuola e viceversa.
Gli attori del bullismo
Di fondamentale importanza è la natura relazionale del fenomeno del bullismo, si pensa
spesso erroneamente che gli attori del bullismo siano il bullo e la vittima e che la colpa sia
unicamente del bullo. La realtà è ben diversa, infatti ci sono altri attori che contribuiscono al
mantenimento del fenomeno:
Bullo è colui che mette in atto concretamente la prevaricazione. Si possono distinguere
quattro tipologie di bullo:
1. Bullo aggressivo, il quale è forse circondato da amici e riscuote grande
popolarità nel gruppo dei pari. È spavaldo, sicuro di sé e insensibile nei
confronti dei sentimenti degli altri.
2. Il bullo passivo, che risulta essere meno sicuro e popolare degli altri. Non è
colui che prevarica, non è interessato a sopraffare gli altri, ma si aggrega al
gruppo per non diventare vittima.
3. Il bullo ansioso, colui che probabilmente è al tempo stesso si vittima che bullo.
Non riscuote popolarità ed ha un andamento negativo a scuola. Compie atti di
bullismo per attirare l’attenzione, anche se questo gli procura paura e sanzioni.
4. Il bullo temporaneo, colui che ha subito un evento traumatico tale da
comportare una reazione che si traduce con un atteggiamento aggressivo.
Scompare con il venir meno delle emozioni negative scatenanti.
Le conseguenze a breve e lungo termine nei bulli
Le Conseguenze a breve termine: Basso rendimento scolastico - Disturbi della
condotta per incapacità di rispettare le regole - Difficoltà relazionali
Conseguenze a lungo termine: Ripetute bocciature e abbandono scolastico -
Comportamenti devianti e antisociali: crimini, furti, atti di vandalismo, abuso di
sostanze - Violenza in famiglia e aggressività sul lavoro.
Vittima colui che è oggetto di prepotenza. Si distinguono due tipologie di vittima:
1. La vittima passiva, caratterizzata da scarsa autostima, debolezza sia fisica che
mentale, incapacità di difendersi ed ansietà. Manca di assertività, cioè la
capacità di affermare con decisione i propri bisogni e desideri.
2. La vittima provocatrice, qualificata da uno stato di iperattività derivante dalla
necessità di essere al centro dell’attenzione e di essere ripetutamente elogiata.
Le conseguenze a breve e lungo termine nella vittima
Conseguenze a breve termine: Sintomi fisici: mal di pancia, mal di stomaco, mal di testa
(soprattutto alla mattina prima di andare a scuola) - Sintomi psicologici: disturbi del sonno,
incubi, attacchi d’ansia - Problemi di concentrazione e di apprendimento, calo del
rendimento scolastico - Riluttanza nell’andare a scuola, disinvestimento nelle attività
scolastiche - Svalutazione della propria identità, scarsa autostima
Conseguenze a lungo termine: Psicopatologie, Depressione, Comportamenti
autodistruttivi/Auto lesivi - Abbandono scolastico - A livello personale: insicurezza, ansia,
bassa autostima, problemi nell’adattamento socio-affettivo - A livello sociale: ritiro,
solitudine, relazioni povere
Gregari sono coloro che indirettamente sorreggono la prepotenza attraverso segnali
condivisione e approvazione, che rinforzano il comportamento del bullo.
Spettatori sono tutti coloro che assistono all’atto di bullismo senza intervenire né a
favore né a sfavore. Gli spettatori non intervenendo automaticamente rendono lecito
quel comportamento.
Difensori sono coloro che attivamente intervengono per difendere la vittima
consolandola o cercando di interrompere le prepotenze.
Escludendo i difensori, tutti gli altri attori contribuiscono a mantenere attivo il circolo vizioso
degli atti di bullismo.
Come riconoscere i segnali del bullismo
Segnali che aiutano a riconoscere se un ragazzo/a è vittima
Torna da scuola con vestiti strappati o sporchi e con materiale scolastico rovinato
Non frequenta amici nel tempo libero
Fa brutti sogni e/o dorme male
L’interesse per la scuola e il rendimento diminuiscono
Ha frequenti mal di pancia o altri tipi di malesseri che lo portano a non frequentare la
scuola
Ha frequenti sbalzi d’umore si isola, piange.
Ha ferite o lividi e tagli a cui non sa dare una spiegazione valida
Chiede o prende denaro di nascosto (per assecondare i bulli)
Segnali che aiutano a riconoscere se un ragazzo/a è bullo/a
prende in giro ripetutamente e in modo pesante
può essere oppositivo anche nei confronti dei genitori o di eventuali fratelli
fatica a rispettare le regole anche in casa
rimprovera
intimidisce
minaccia
tira calci, pugni, spinge
danneggia cose …
Cosa fare
1. Prendere consapevolezza del problema “bullismo”: innanzitutto prestare attenzione
ad eventuali segnali della presenza del bullismo;
2. Non minimizzare il problema: far capire al figlio che è importante prendere in seria
considerazione il problema che riporta, creando un clima di ascolto attivo e di fiducia;
3. Favorire il dialogo: evitare di assumere un atteggiamento colpevolizzante e punitivo,
ma al contrario potenziare il dialogo e la comunicazione, promuovendo la cultura
dell’ascolto;
4. Non arroccarsi su posizioni estreme nei confronti del proprio figlio (di accusa o
di difesa): avere una visione reale del problema, evitando di schierarsi dalla parte del
bullo o della vittima; prima di intervenire, capire a fondo il problema e le motivazioni
che hanno portato ciascun attore coinvolto a comportarsi in un determinato modo;
5. Valorizzare il dialogo scuola famiglia: stare costantemente in contatto con il
personale della scuola (insegnanti, dirigenti e personale non docente) per cercare di
definire il problema, ascoltando anche quello che hanno da dire gli operatori scolastici;
6. Prestare attenzione al vissuto emotivo del proprio figlio: cercare di far emergere le
emozioni, le paure e i sentimenti del bambino rispetto all’accaduto. Provare a mettersi
nei panni del proprio figlio, per cercare di capire meglio che cosa stia vivendo;
7. Invitare il proprio figlio a chiedere aiuto: far capire al bambino che, se si dovesse
trovare nella posizione di vittima di azioni di prepotenza, è importante chiedere aiuto
ad uno dei suoi adulti di riferimento. Spiegare che questo non è un atto di debolezza,
ma è un modo coraggioso per smascherare il bullo e farlo uscire allo scoperto;
8. Trovare una soluzione al problema insieme al proprio figlio: coinvolgere il
bambino in modo attivo nella ricerca di strategie adeguate ed efficaci per la risoluzione
del problema;
9. Confrontarsi con altri genitori: è importante condividere paure e preoccupazioni
rispetto all’accaduto per scoprire, magari, di non essere gli unici coinvolti nel
problema;
10.Potenziare l’autostima del proprio figlio: lavorare per costruire la fiducia del
bambino in se stesso ed incoraggiarlo a sperimentarsi nelle attività (anche
extrascolastiche) in cui riesce bene;
11.Lavorare verso l’autonomia del proprio figlio: evitare di avere un atteggiamento
iperprotettivo, ma al contrario insegnare al bambino ad essere il più possibile
autonomo, perché proprio una stretta dipendenza dai genitori può essere un fattore di
rischio affinché il bambino sia preso di mira da compagni “più forti”;
12.Aiutare il proprio figlio a prendere consapevolezza dei suoi
atteggiamenti: insegnargli a riconoscere eventuali comportamenti che possono
irritare o infastidire gli altri e riflettere sulle conseguenze delle proprie azioni. Cogliere
l’occasione per suggerire possibili condotte alternative;
13.Favorire momenti di socializzazione positiva: creare momenti, al di fuori del
contesto scolastico, in cui il bambino possa vivere momenti di socializzazione con i
propri compagni, magari condividendo gli stessi interessi;
14.Far intraprendere ai bambini attività extrascolastiche: impegnarsi per esempio in
attività sportive aiuta ad incanalare l’aggressività in modo positivo e favorisce la
costruzione di nuove relazioni;
15.Ridurre il senso di colpa: far sì che i bambini non si sentano colpevoli nel caso in cui
siano vittime di prepotenza, ricordando loro che è sempre possibile trovare una
soluzione;
16.Rivolgersi ad esperti: qualora la famiglia dovesse rendersi conto di non avere
strumenti adeguati a gestire la situazione, chiedere aiuto a dei professionisti.
Dott. Giovanni Mattia (referente legalità e sportello ascolto)